L’ordinanza in esame consente di porre l’attenzione su diversi profili giuridici collegati ad aspetti sostanziali e procedurali della materia in commento, discendenti dal delitto di diffamazione e di minaccia, nonché sul riconoscimento della procedibilità a querela degli enti.
E, nello specifico, sul loci natura processuale riservata a questi ultimi, ampliamente argomentata dal GIP in sede e cristallizzata in motivazione, sin dall’ascrizione ad esso della qualità di soggetto di diritto e di portatore di interessi, ampliandone l’analisi nella parte in cui riconosce l’ente quale rappresentante unitario dell’interesse – “collettivo”, inteso come il particolare interesse di cui è espressione univoca e unica nel mondo del diritto.
Premessa quindi la necessità di assolvere ad un controllo preventivo e di assolvimento alla stregua di un rapporto sinallagmatico tra il Presidente della Camera Penale e l’intera categoria rappresentata da quest’ultimo, certo è che l’analisi addotta dal GIP non poteva discostarsi dalla valutazione “case by case” della natura giuridica dell’ente; vaglio discrezionale che è stato evidenziato anche a mezzo riferimenti giurisprudenziali e normativi, di adozione sovranazionale e consequenziale assorbimento nazionale, dirimenti ai fini del decidere e, soprattutto, di interpretazione autentica sulla ricostruzione del fatto (-reato) offerta nello specifico.
Secondo il percorso argomentativo assegnato dal GIP procedente infatti l’Ente è riconosciuto alla stregua della parte offesa, attesa la ritenuta lesione della reputazione della intera categoria degli avvocati, secondo un percorso motivazionale e normativo fondato anche da richiami sulla costante giurisprudenza che, a più riprese, si è espressa positivamente su casi simili a quello posto in esame; in particolare, il Giudice conforta tale assunto, sulla pronuncia offerta dal Supremo Consesso, secondo cui sussiste il reato di diffamazione anche se “… i commenti diffamatori abbiano avuto ad oggetto una categoria di soggetti e non esclusivamente alcuni appartenenti ad essa…” (cfr. infra Cass. Pen. Sez. V. n. 1699/2001).
Ebbene, il discrimen normativo su cui è annidata la motivazione in commento, parte dall’iniziale vulnus patito dal Presidente della Camera Penale di Viterbo, ab origine, “scriminato” dal mero diritto di critica riconosciuto dal P.M. titolare delle indagini, sino ad implementare il ventaglio argomentativo ordinatorio fondando il proprio convincimento sull’insistenza della commissione di reato, da parte degli autori, allo stato ignoti, sia da un punto di vista oggettivo sia da un punto di vista soggettivo, oltre a situare il superamento del limine lesivo della norma con il nocumento assegnato “… anche alla categoria cui appartengono…” ossia agli avvocati penalisti.
Tuttavia, la certezza della lesione alla reputazione della intera categoria degli avvocati, nel caso di specie, residua anche nell’assunto normativo e statutario dell’ente che “tutela la dignità, il prestigio ed il rispetto del difensore”, finalizzato a garantire “la difesa”, quale diritto inviolabile; diritto imprescindibile e anche costituzionalmente garantito, in ogni stato e grado del processo, oltre che, in evizione, quale lesione del bene morale comune e stringente alla intera categoria dei difensori.
Ed è per tali motivazioni che il GIP ritiene doveroso valutare i commenti espressi a seguito di pubblicazione della notitia criminis e posti in calce ai notiziari on line sulle vicende delittuose e gravi, in maniera approfondita, sino a ritenere, con ragionamento logico deduttivo, di non poterle scriminare dal diritto di critica o, ancor più, dal diritto di satira; di contro, infatti incorrerebbe nella violazione delle norme di diritto interno e sovranazionale, in una divisio interpretativa della materia che, ad ogni buon conto, deve essere costituzionalmente e unitariamente orientata.
Precisa ancora il GIP sul punto, che non ricorre la scriminante del diritto di critica, non potendo invocare a sé il P.M. la libera manifestazione di pensiero, secondo il parametro normativo e teleologico delle norme di cui all’art. 21 Cost e art 10 Convenzione EDU; e, parimenti, esclusa risulta anche l’invocazione della scriminante di cui all’art. 51 c.p., non ricorrendo, de qua, i limiti della continenza formale, intesa quale parametro essenziale e riconosciuto dalla giurisprudenza nazionale, secondo cui il giudizio esternato non debba essere trasmodato e lesivo della reputazione della persona.
In realtà, i commenti esternati da autori ignoti e ad esame, sfociano nella immotivata e gratuita aggressione all’altrui reputazione, al pari di quanto riportato testualmente ed evidenziato nelle pagine 6 e 7 della commentata ordinanza.
Vi è più che, le suddette espressioni, così come utilizzate dai commentatori sono oggettivamente in grado di ledere la reputazione e la considerazione sociale del soggetto passivo e della categoria tutta, cagionando una lesione con valenza immediata e offensiva, tale da poter annoverare l’azione in questione, pregna di dolo (generico), al pari di quanto statuito dalla norma di cui all’art. 595 c.p..
Di particolare pregio è, altresì, la diversa opinio espressa dal GIP in ordinanza, nella parte in cui ha ritenuto che le affermazioni in esame e ad oggetto della querela presentata dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati non possano essere avvinte nel mero argumentum ad hominem delineato dal P.M. e nella iniziale richiesta di archiviazione, poiché si versa nella fattispecie delineata dal reato di diffamazione, in cui vi è la lesione della reputazione dell’intera categoria degli avvocati, oltre che l’irradiazione lesiva e ulteriore attinta dal pubblico ludibrio e dal pubblico disprezzo, elementi tutti che travalicano in maniera indiscutibile il limite del diritto di critica e dei valori fondamentali dell’uomo.
Si giunge, quindi, in conclusione, a ritenere che, nei fatti-reato sopra delineati, ad eccezione e ad esclusione dell’ipotesi diversa e iniziale di cui all’art. 612 c.p., sono stati riconosciuti tutti gli elementi tipici del reato di diffamazione, nella forma aggravata e di cui all’art. 595, comma 3°, c.p., con consequenziale ordine del GIP, ex art. 409, comma 4°, c.p.p. e rivolto al P.M., di esperire ulteriori attività di indagini, al fine di individuare gli autori di reato e ad iscrivere gli stessi nel registro degli indagati.
Al seguente link l’ordinanza oggetto di commento