La narrazione di quanto si pone in commento e su quanto disposto nell’Ordinanza N. 6690/2023 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione in data 2.02.2023, impone brevi cenni sulle modificazioni apportate dalla Legge 199/2022 (cd. “RIFORMA CARTABIA”), sulle norme sostanziali e su quelle procedurali richiamate dalla specifica vicenda che, in mancanza di una disposizione transitoria, si ritiene, impone la devoluzione, in rimessione, alle Sezioni Unite, in materia di impugnazioni delle statuizioni civili.
La specificità dell’affermazione resa da ultimo, discende dal percorso motivazionale offerto dalla Suprema Corte di Cassazione in suddetta pronuncia, nella parte in cui, il corredo argomentativo costitutivo in decisione, consente di tratteggiare il percorso logico assunto e sorretto da una interpretazione sistematica e autentica della legge, in particolare sull’art. 573 c.p.p., supportata da quella e ulteriore, estensiva e teleologica, sulla operabilità in concreto di quanto disposto dall’art. 573, comma 1 bis, c.p.p., come novellato, ex novo, dalla legge di riforma summenzionata e dal 30.12.2022 entrata in vigore.
Ebbene, dovendo riassumere il fatto-reato sotteso alla decisione vagliata dal Supremo Consesso, nei termini prospettati e posti di seguito, l’assunzione preordinata e in via anticipata sull’analisi dell’aspetto prettamente procedurale offerto dalla sentenza de qua, è sottesa dalla complessità della questione che, allo stato, annovera ben due pronunce, intervenute di recente e sull’eodem argumento, sia in senso conforme (Cass. Pen., Sez. IV, dell’11.01.2023, N. 2854) sia in senso difforme (Cass. Pen., Sez. V, del 20.01.2023, N. 3990) a quello prospettato dall’Ordinanza in commento e assunta in disamina; pertanto, si ravvisa la necessità di anteporre l’argomentazione processuale collegata allo specifico fatto-reato, in assolvimento narrativo della interpretazione resa sulla disposizione di cui all’art. 573, comma 1 bis , c.p.p..
Il ragionamento su cui si fonda l’Ordinanza de qua, infatti, parte dal dato normativo, secondo cui l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), del D.L.vo 150/2022, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi dell’art. 6 del D.L.vo 162/2022, convertito con modificazioni nella Legge del 30.12.2022, N. 199, stabilisce che “quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.
Chiaro è il succitato dettato normativo, secondo cui l’art. 33, comma 1, lett. a), del D.L.vo 150/2022, intervenuto sulla disposizione di cui all’art. 573 c.p.p., decorre a partire dal 30 dicembre 2022; ma, il problema ravvisato nella specifica vicenda è che non vi è specificazione alcuna in ordine alla immediata applicabilità o meno di suddetta norma, in mancanza di una disposizione transitoria che, di fatto, ne delinea la unitaria applicazione. Anzi, l’assenza di una disposizione transitoria su di essa ha comportato un primo contrasto nella giurisprudenza di legittimità, al pari di quanto riferito sopra e con le citate ed evidenziate pronunce intervenute in materia.
Seppur indubbio è che il fenomeno della successione delle leggi nel tempo, nel diritto processuale penale, è regolato dal principio del tempus regit actum, le soluzioni prospettate dal Supremo Consesso, invero, non si fondano su di esso, ma sull’actus rilevabile nel caso di specie.
Dalla lettura sincronica delle due sentenze evidenziate pocanzi ed emesse dalla Quarta Sezione (sent. citata sopra della Corte di Cassazione N. 2854/2023) e dalla Quinta Sezione (sentenza citata sopra della Corte di Cassazione N. 3990/2023) della Corte di Cassazione, hanno posto a fondamento dell’assunto decisionale, quanto stabilito con la pronuncia delle Sezioni Unite “Lista” (sent. Cass. Sez. Un. n. 27614 del 2007), sulla distinzione che insiste tra le modifiche legislative attinenti alla categoria del regime delle impugnazioni e le modifiche legislative sottese al procedimento di impugnazione.
Le Sezioni Unite, infatti e nella precisata situazione processuale richiamata ad quem, hanno stabilito che, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, nel caso in cui si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento della pronuncia sul provvedimento da impugnare e non a quello in cui si propone l’impugnazione.
Mentre, come si vedrà nel prosieguo, nella vicenda processuale in esame e di cui alla Ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione, non ha ritenuto ancorare l’applicabilità del nuovo comma 1-bis, dell’art. 573 c.p.p., alla data in cui è stata pronunciata la sentenza impugnata.
Tuttavia, atteso il tenore di quanto affermato pocanzi, ai fini di una completa cornice espositiva di quanto rilevato dal Supremo Collegio, necessario è ripercorrere quanto verificato nella specifica situazione posta al vaglio della richiamata Corte, per comprendere meglio l’assunto decisionale espresso, nei termini annoverati sopra.
Il Tribunale di Miliano, infatti, con sentenza dell’8 settembre 2020, ha condannato l’imputato, a seguito della definizione del processo nelle forme del rito abbreviato condizionato, alla pena ritenuta di giustizia per il reato di ricettazione, avendo ritenuto colpevole il predetto di avere ricevuto e posto in commercio un’opera pittorica apparentemente proveniente dall’artista, in realtà contraffatta.
In riforma della decisione di primo grado, però, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 3 novembre 2021, ha assolto l’imputato con la formula “il fatto non costituisce reato”, ritenendo insussistente il dolo del delitto contestato, sulla valutazione di molteplici circostanze che ne hanno escluso la colpevolezza, ancipite alla ritenuta non autenticità dell’opera.
La parte civile, quindi, ha impugnato la suddetta sentenza, con ricorso, chiedendo l’annullamento di quest’ultima, ai soli effetti della responsabilità civile, ex art. 576 del codice di rito, annoverando diversi motivi, tra cui anche l’utilizzo di una consulenza tecnica della difesa, in rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., con celebrazione del processo nella forma cartolare e in aperta violazione dell’osservanza di cui all’art. 23 bis, comma 1, del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella Legge 18 dicembre 2020, n. 228.
E dunque, ricostruita la vicenda nei suddetti termini processuali, il Supremo Consesso, dopo aver dato atto di quanto deciso dalla Corte Territoriale, e per quanto di rilievo sulla questione in commento, ha riconosciuto insistente l’interesse della parte civile all’impugnazione, nonostante l’imputato sia stato mandato assolto, secondo “… un accertamento che non avrebbe efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno” (cfr. pag. 3 Ordinanza n. 6690/2023).
La Suprema Corte infatti ha precisato che, a fronte dell’ammissibilità della presentata impugnazione, trova applicazione il disposto del comma 1 bis,dell’art. 573 c.p.p. (introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi dell’art. 6 del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni nella Legge 30 dicembre 2022, n. 199), secondo cui «[q]uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile» (cfr. pag. 5 Ordinanza n. 6690/2023).
Nel novero delle argomentazioni addotte, altresì, ha evocato ex se quanto disposto in merito dalle diverse pronunce emesse dalle Sezioni del medesimo Consesso, in particolare, di quelle della Quarta e della Quinta Sezione specificate sopra in commento, oltre a ribadire che “alle questioni di diritto intertemporale che si pongano in relazione, non ad un singolo atto che abbia già esaurito i propri effetti – quale quello d’impugnazione, che appunto si perfeziona con la rituale instaurazione del giudizio impugnatorio -, ma ad un procedimento (quale il giudizio di impugnazione) che sia ancora in fieri, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l’atto del procedimento venga ad essere compiuto» (Sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, Rv. 275201-01 – cfr. pag. 6 Ordinanza n. 6690/2023).
Ebbene, sulla base di queste premesse, si è giunti a ritenere che non vi sono ragioni per ancorare l’applicabilità del nuovo comma 1 bis,dell’art. 573 c.p.p., alla data di pronuncia della sentenza impugnata, ritenendo chela data della pronunzia della sentenza impugnata, non deve avere alcun rilievo, poiché l’impugnante che eserciti il proprio diritto, a partire dal 30 dicembre 2022, è a conoscenza della nuova disposizione e del possibile rinvio al giudice civile, indipendentemente dal fatto che la sentenza impugnata sia stata emessa prima o dopo tale data.
A rigore di quanto espresso da ultimo, però, soccorre anche il diverso tema affrontato dalla Corte Superiore in Ordinanza, sull’importanza assegnata all’actus,nella sequenza procedimentale e resa tale dalla decisione presa dalla Corte di Appello o dalla Corte di Cassazione, secondo cui va “tutelato il legittimo affidamento delle parti nello svolgimento del processo secondo le regole vigenti al tempo del compimento degli atti, nonché l’esigenza che esse conoscano il momento in cui sorgono diritti o oneri con effetti per loro pregiudizievoli; e tale affidamento non può che parametrarsi con la disciplina processuale dell’insieme delle regole sistematicamente organizzate in vista della statuizione giudiziale ovvero con l’inizio dell’attività che caratterizza il rapporto processuale” (Sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528, in tema di rescissione di giudicato – cfr. pag. 7 Ordinanza n. 6690/2023), potendo richiamare, in dimidiata parte, seppur in diverso ambito e materia, l’affermazione secondo cui “accedat huc suavitas quaedam oportet sermonum” (“a questo si deve aggiungere una certa soavità in parola”) nella implementazione di quanto disposto in motivazione sul caso di specie e posto a sostegno della vagliata argomentazione.
Vi è più che, prima della riforma, una impugnazione ammissibile, ma proposta con motivi infondati avrebbe comportato la conferma della sentenza di primo grado (nel giudizio di appello) o il rigetto del ricorso (nel giudizio di legittimità), mentre, ad una impugnazione anche solo in parte fondata sarebbe conseguita, invece, la riforma, anche solo parziale, della sentenza di primo grado ovvero l’annullamento con rinvio, ex art. 622 c.p.p..
Dunque, la questione funditus in commento risulta avvinta dagli effetti pregiudizievoli alla parte che ha impugnato la sentenza, prima della entrata in vigore della nuova disposizione e sulla prosecuzione del giudizio davanti al giudice civile dello stesso grado, prevista dalla nuova norma.
Per semplificazione, infatti, l’esame della questione tutta è stata resa sui casi di impugnazione della parte civile, nella misura in cui quest’ultima ben potrebbe ignorare se il pubblico ministero a propria volta ha impugnato o impugnerà la sentenza, agli effetti penali, tanto da poter redigere il proprio atto di impugnazione non sapendo se la sentenza sarà impugnata ai soli effetti civili o anche agli effetti penali; evenienza quest’ultima che precluderebbe l’applicazione della nuova disposizione.
In secondo luogo, l’ammissibilità del ricorso della parte civile, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, dovrà essere comunque valutata “secondo le regole proprie del codice di rito penale, anche perché non si capirebbe quali altri parametri valutativi potrebbe essere chiamato a seguire” (così, ancora una volta, la citata sentenza della Quinta Sezione – sentenza citata sopra di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione avente N. 3990/2023).
In terzo luogo, la prosecuzione del giudizio avanti al giudice civile, non comporterà, rispetto al passato, alcuna modificazione nella regola di giudizio ai fini dell’affermazione di responsabilità ai soli effetti civili, poiché il giudice penale che si trovi a decidere sulla responsabilità civile, ai sensi dell’art. 578, comma 1, c.p.p., e quindi a verificare la sussistenza dell’illecito civile, dovrà seguire “il criterio del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente” che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ipotesi contraria» (Corte Cost., n. 182 del 30 luglio 2021), principio recepito nella successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377-01 e Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01), oltre a quello secondo cui “il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 c.p.p. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dagli artt. 392 e ss. cod. proc. civ. a seguito di riassunzione dopo l’annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili […]” (cfr. pag. 9 Ordinanza n. 6690/2023).
In estrema sintesi, si è ritenuta insistente una “sostanziale” continuità fra la vecchia e la nuova disciplina, quanto alla natura del giudizio civile (prima a seguito di annullamento con rinvio, ora a seguito di rinvio per la prosecuzione) e alla regola di giudizio, confermata anche dalla previsione che il giudice civile competente, ai sensi del nuovo art. 573, comma 1 bis, c.p.p. “decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.
Opinando con argomentum ab auctoritate a conforto di quanto espresso, appare evidente che, il principio palesato dal Supremo Consesso si giustifica anche con la cosiddetta emendatio della domanda, ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sempre che risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
Tant’è che, in materia di risarcimento del danno, l‘emendatio e non la mutatio della domanda (di cui vi è espressa menzione, in esemplificazione e spiegazione nell’Ordinanza de qua), garantisce al danneggiato la possibilità di presentare la richiesta risarcitoria, con allegazione di elementi tipici della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. (la cosiddetta responsabilità Aquiliana), consentendo al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio, in conseguenza della scelta della controparte.
Secondo l’Ordinanza qui commentata, quindi, in base alla nuova norma, pur in assenza di un annullamento della sentenza impugnata, ma di una sola valutazione circa l’ammissibilità (la non inammissibilità) dell’impugnazione, la parte interessata o le parti interessate hanno l’onere di riassumere il processo dinanzi al giudice civile, come da rinvio sancito nella nuova disposizione, per la naturale prosecuzione del processo, nel caso di specie, individuato nel Primo Presidente, per l’assegnazione alla sezione civile competente della stessa Corte di Cassazione.
In conclusione, attesa la delicatezza dell’argomento e delle differenti interpretazioni assegnate con riferimento alla norma di cui all’art. 573, comma 1 bis c.p.p., necessaria è la rimessione ultima alle Sezioni Unite, al fine di dissipare i molteplici contrasti giurisprudenziali avuti sinora ed evidenziati con il presente commento.